Sonny Liston - Un Uomo
Ascesa e caduta, di uno dei più grandi pesi massimi di sempre, un uomo misterioso e dal fato tragico
“Un incontro di boxe è come un film di cowboy. Ci devono essere i buoni e i cattivi. Ed è per questo che la gente paga - per vedere i cattivi che vengono battuti”
A tanti anni dalla sua morte, Sonny Liston continua ad affascinare e risvegliare la fantasia di scrittori, giornalisti, biografi ed appassionati della nobile arte.
Il suo nome, è quello di un pugile straordinario, una macchina distruttrice la cui fama di aggressività e forza, la cui figura umana e sportiva, non ha perso un grammo del suo fascino, della misteriosa (e per certi tratti inquietante) epica che lo circonda da decenni. Non potrebbe essere altrimenti vista la drammaticità della sua vita ma anche i misteri che lo avvolgono, punti oscuri, dubbi soprattutto sulla sua fine.
Nella sua infanzia, conobbe solo la povertà più estrema, la violenza più terrificante, crebbe in una famiglia di quasi 20 tra fratelli e sorelle che si odiavano, perché il cibo di uno era la fame dell'altro.
Finì in carcere per fame, la boxe la conobbe perché l'unica cosa da fare di costruttivo dietro le sbarre, in quel gabbio dove era arrivato come moltissimi altri afroamericani del sud ignorante, razzista, xenofobo e che non dava alternative, dove essere neri era peggio che essere animali.
Fu il parroco, ex pugile, a dargli passione per la nobile arte, lo fece allenare da diversi ex pro finiti dietro le sbarre, lì dove in poco tempo gli altri che si cimentavano nella nobile arte, impararono a stargli alla larga. Quando uscì e decise di diventare professionista, tutti subito capirono che averlo di fronte era come avere a che fare con una belva neolitica, con una tigre...anzi no. Con un orso.
Lui dal pugilato cercava ciò che aveva sempre voluto: rispetto, considerazione, magari anche amore perché no? E se le cose andassero come devono andare, sarebbe arrivato ad essere campione dei Pesi Massimi prima, senza essere evitato una vita perché troppo pericoloso, forte e pauroso sul ring.
Nell'America di oggi, il suo amare le donne bianche e le note jazz nere sarebbe stato normale, ma all'epoca era considerato inaccettabile dai bianchi, quelli stessi bianchi per i quali lui rappresentava “l'uomo nero”, il mix di forza, potenza primordiale e prorompente sessualità di cui avevano il terrore.
Fu anche inevitabile che così povero ignorante finisse in mano alla mafia, a Frankie Carbo e Frank "Blinky" Palermo. Loro guidavano la sua carriera, si prendevano l’80% della sua borsa, lo usavano senza pietà. Dietro quei due nomi, che dominavano la boxe di quegli anni, vi erano i Giancana, Marcelo, Bonventre e via dicendo, gente che all'epoca con le scommesse della boxe ci faceva bei soldi e che ne condizionò vita e pure la morte pare.
Oggi Charles Liston avrebbe compiuto 89 anni. Almeno stando all'anagrafe ufficiale, la data è un mistero in realtà, sicuramente di anni ne aveva molti di più.
Sarebbe forse ancora vivo, nei suoi sogni forse in qualche momento si immaginava un nonno felice, un ex-Campione rispettato, indotto in una bella cerimonia nella International Boxing Hall of Fame per ciò che sul ring aveva mostrato, per chi era stato...tanti pugili nei decenni a venire gli avrebbero chiesto consigli, magari avrebbe pure allenato perché no?
Sonny su quel ring è stato il Peso Massimo più pericoloso mai esistito, il più inquietante, di certo anche il più misterioso. Due pugni come i suoi non si erano mai visti. Certo c’erano stati Max Baer, Rocky Marciano, Jack Johnson, Dempsey e Joe Louis, ma non si erano mai visti uomini svenire sul ring, accasciarsi come centrati da una raffica di mitragliatrice.
La sua potenza, fu eguagliata solo da gente come George Foreman o Ernie Shavers.
Tuttavia rispetto al colosso texano e al rinoceronte di Garland, Sonny poteva vantare non solo potenza, ma anche tecnica, un jab sensazionale, un gancio sinistro e uppercut destri da urlo. Aveva anche resistenza, mascella di ferro e un bel gioco di gambe, tutte armi che lo resero un boxer puncher devastante. Pareva nato per essere un pugile.
Sonny aveva un collo da mezzo metro, due spalle con cui pareva poter sostenere il mondo intero, gambe come tronchi, mani così grandi che servivano guanti su misura, il tutto su 185 cm per 105 kg. Su tutto, una testa con due occhi acquosi e torbidi, che quando ti fissavano ti facevano tremare nel profondo. Sul ring portava un livello di intimidazione mai visto. Oltre a tutto questo, aveva un allungo allucinante: 213 cm. Giusto per farvi capire, Tyson Fury, alto 2 metri e 5, lo ha di 217. Aveva in pratica quattro gambe e armato di quei due martelli, sul ring diventò un pugile freddo e selvaggio, una macchina distruttrice, visceralmente violenta al punto da far sembrare Mike Tyson quasi un chierichetto.
Nessuno gli aveva mai resistito o lo aveva fatto senza pagarne il prezzo, aveva perso un match ai punti dopo aver combattuto 11 riprese con la mascella fratturata. L'avversario dopo la vittoria si era ritirato per le botte prese. Si, occorreva un bel po’ di coraggio per salire sul ring con Sonny l’Orso.
Nel suo carniere ci stavano nomi del calibro come Cleveland Williams, Eddie Machen, Nino Valdes, Zora Folley, Roy Harris, Willie Besmanoff....eppure per tanto tempo fu evitato dai migliori, sia bianchi che neri, perché l’esito di un match lasciava ben poco adito a dubbi.
Floyd Patterson, il campione nero che piaceva ai bianchi perché era mite, gentile, elegante, un coraggioso pugile rassicurante che seguiva le regole scritte dai bianchi per i neri, lo evitò finché poté.
Lottava al fianco di Martin Luther King, Jr., ma gli era scusato perché da Campione era ciò che ai bianchi piaceva, un nero coerente ma disciplinato.
Quando persino Kennedy gli chiese di dare a Sonny un’occasione, appena salito sul ring l’Orso Nero lo spazzò via come niente fosse, continuando ad andare a locali, bere, dandosi da fare con le donne bianche. La polizia lo fermava e arrestava coi pretesti più balordi ma nessuno passava il segno con lui, sarebbe stato come tirare la coda di un leone che dorme. L'unico sbirro che ci provò si trovò ad implorare per terra di non essere ucciso...Come l'Orso Nero a cui era paragonato, anche Liston era ammirato, temuto, rispettato...ma non amato. Non aveva amici, era solo. Fu sempre solo. Anche da Campione.
Poi arrivò Muhammad Ali, che ancora era Cassius Clay. Il veloce, l'imprendibile, astro nascente della boxe, l’oro di Roma, il ragazzo che diceva di poter essere più veloce della sua ombra, che nessuno prese sul serio. Almeno fino a quando non cominciò quel match a Miami. Forse neppure ai bei tempi, quando ancora la bottiglia, la droga e certi sguardi eloquenti della mafia a bordo ring no lo zavorravano, Sonny lo avrebbe battuto.
La sua boxe era troppo scolastica, troppo “normale”, per il giovane rivale, lui era troppo lento per il ragazzo di Louisville, che si muoveva lì sopra come nessuna altro aveva mai fatto. Capita. Funziona così in questo sport: "Style makes fights".
Ma le sue due sconfitte (la seconda in realtà, la prima semplicemente non si era allenato ed infatti si ritirò per infortunio muscolare), rimangono tra i grandi misteri della boxe. Il pugno con cui Alì lo atterrò nel rematch, fu commentato da Rocky Marciano (con cui per poco Sonny non combatteva qualche anno prima) come "un corn-flakes scagliato contro una corazzata". Era vero. Black Muslims, mafia, scommesse, minacce...c'era di tutto attorno a quel match, dopo il quale Sonny si avviò verso la notte, verso la morte.
In un mondo più giusto, Liston non sarebbe morto poco prima di capodanno del 1970, ucciso probabilmente da Cosa Nostra americana mediante un’iniezione di eroina “corretta”, perché sapeva troppo o perché parlava troppo. O per qualche altra diavolo di ragione.
In un mondo perfetto...ma non viviamo in un mondo perfetto, Sonny l'Orso non ci viveva. Non fu mai un uomo cattivo, imperfetto si, come me, come voi, come tutti, ma fuori dal ring era ironico, gentile con le donne, rispettoso, non il mostro che ancora oggi l'ignorante e impreparata stampa italiana a volte dipinge.
Non era cattivo. Fu cattiva la sua sorte, come quella di tanti altri uomini.
Perché in fondo, al di là della colossale forza, delle cinture, dalla fama, Sonny era e voleva essere soprattutto una cosa: un uomo. Un uomo come gli altri. E solo morendo ci riuscì.